TALK LAB del 4 febbraio 2012
TALK LAB
la creatività sociale delle reti per l’ecologia urbana
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TAVOLA ROTONDA aperta al pubblico
4 febbraio h.15.00-16.30 | c/o Sala Barelli – Museo P. Giovio
Conduce Carlo Infante, managing director di Urban Experience
intervengono
Marco Fratoddi, direttore di “La nuova Ecologia”
Simone Molteni, direttore scentifico di LIFEGATE®
Stefano Panunzi, docente di progettazione urbana ed esperto di sistemi ecologici
Michelangelo Tagliaferri, presidente dell’Accademia di Comunicazione di Milano e esperto di pianificazione terrotoriale partecipata
Evento realizzato con il sostegno del P.O. di Cooperazione Transfrontaliera Italia – Svizzera 2007-2013 / FESR – Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e il Patrocinio del Comune di Como (Assessorati alla cultura e alle politiche giovanili).
La creatività sociale delle reti per l’ecologia urbana
Il progetto TecArtEco ha creato le condizioni per fare dell’incontro tra le nuove tecnologie della comunicazione, la sperimentazione artistica e il pensiero ecologico, un’occasione strategica non solo di riflessione teorica ma di azione.
Si agisce quando si condivide e ancor più quando si espande un dibattito, come quello che s’è sviluppato in quel contesto, anche nel web. Sì, la rete è un nuovo ambiente a tutti gli effetti, vi si agisce, si scambia, si procede per potenziali cooperazioni.
E’ da quest’assunto che si parte per la conversazione che segue, ponendoci una domanda: cosa può fare la creatività sociale delle reti per l’ecologia urbana?
L’incipit imposta i termini del confronto, a cui hanno partecipato Marco Fratoddi direttore di “La Nuova Ecologia”, Anna Legueurlier filosofa dell’arte, Simone Molteni direttore scientifico di Lifegate, Michelangelo Tagliaferri fondatore dell’Accademia di Comunicazione di Milano ed esperto di pianificazione territoriale partecipata. Inoltre, attraverso il forum, abbiamo dialogato con Stefano Panunzi, docente di progettazione urbana ed esperto di sistemi ecologici.
Ci seguono anche Ariella Vidach e Claudio Prati, direttori artistici di TecArtEco, protagonisti della sperimentazione artistica nell’ambito della performance multimediale e della danza in particolare, da cui raccogliamo degli orientamenti.
Conversiamo intorno ad un tavolo della bella sala “Barelli” del Museo “Giovio” di Como e sullo schermo s’alterna la Tag Cloud Live che visualizza la “nuvola” dei tweet, che pubblichiamo in diretta su twitter, gli appunti disegnati da Sara Seravalle di Urban Experience, ripresi da una telecamera per un’azione di visual thinking , e il forum dove abbiamo raccolto degli spunti e dove ci sollecita Stefano Panunzi (intrappolato dalla neve a Roma). E’ sul forum on line che appare l’ introduzione tematica che ho impostato per “apparecchiare” il tavolo di quello che abbiamo definito un talk lab.
La user experience per dinamizzare l’ecosistema urbano
Trattare di ecologia urbana comporta l’interrogarsi su come sia possibile riequilibrare il rapporto tra cultura e natura. Uno squilibrio grave è stato prodotto nel XX secolo sotto il segno di un’industrializzazione che ha fatto delle città l’inesorabile fulcro attrattivo dei flussi umani.
Quel modello economico e di conseguenza sociale è ormai superato, siamo in un’era di transizione post-industriale e le città contemporanee non producono più, consumano solo.
Ciò rischia di scatenare un processo entropico basato non solo sull’inquinamento atmosferico e la produzione di rifiuti ma sull’assenza di prospettive di sviluppo.
In questo senso è strategico interpretare il futuro digitale che la nuova Società dell’Informazione fa intravedere, consapevoli che una promessa simile non si compie da sola.
E’ necessario sollecitare una creatività sociale capace di fare delle reti un’espressione dell’intelligenza connettiva, funzionale alla cooperazione e alle dinamiche dell’auto-organizzazione.
Questa condizione potrà attuare sperimentazioni rivolte sia all’autosufficienza energetica sia alla possibilità di ridistribuirla secondo i principi delle smart grid, le reti intelligenti di nuova generazione. Le città non producono più, consumano solo, si diceva, ma c’è un aspetto che va considerato: riguarda la produzione d’informazione generata dal comportamento creativo degli utenti. Un nodo, questo dell’associare l’informazione all’esperienza diretta, anche perché oggi qualsiasi modello di sostenibilità passa per il “far sapere” e non più solo per il “saper fare”.
Questa è la direzione in cui è possibile trovare quel riequilibrio tra cultura e natura, associando all’informazione il valore dell’esperienza e della condivisione. Perché ciò accada occorre promuovere un’innovazione dei processi culturali, grazie alla dinamizzazione sociale creata da processi artistici che sollecitino percezioni e azioni, nuovi fenomeni ludico-partecipativi.
Le poetiche e le politiche del performing media, intese come crossmedialità, le pratiche web 2.0 combinate ad eventi, installazioni multimediali e performance, possono attivare una user experience che può diventare protagonista di un nuovo ecosistema, urbano e generativo.
I neuroni specchio: il corpo come medium d’apprendimento
Partendo da questo spunto sostengo quanto sia importante la dimensione culturale nell’evoluzione umana. Faccio riferimento al teatro da considerare come l’invenzione tecnologica che ha permesso la diffusione di una nuova tecnologia, l’ alfabeto.
La sapienza filogenetica del corpo ha saputo veicolare parole che altrimenti sarebbe stato impossibile decodificare. Ciò che sembra un’ovvietà è stata frutto di un’innovazione che nell’arco di quasi tremila anni ha saputo modulare l’intelligenza umana, predisposta all’apprendimento per imitazione, dove il medium principale dell’apprendimento è il corpo, come ha dimostrato l’ultima frontiera delle neuroscienze. E’ a proposito della scoperta dei neuroni specchio che Peter Brook ironizzò dicendo: “hanno scoperto ciò che il teatro sa da un pezzo”.
La crisi come opportunità
Qualsiasi cosa accada parte dal corpo, dalla nostra presenza fisica, dalla nostra azione. Questo aspetto della creatività del corpo è un cardine del discorso che cercheremo di sviluppare con l’andamento di un brainstorming.
“Una parola chiave che suggerirei in relazione al corpo”, dice Ariella Vidach, “è equilibrio. Ciò è dinamico. Quando danzo, con il corpo vivo un equilibrio che non è mai statico. Credo sia interessante contemplare, in tal senso, un organismo, fisico e sociale, che si reinventa continuamente, tra equilibrio e squilibrio”
Ribatte Anna Legueurlier: “Vorrei fare riferimento, a proposito di equilibrio-squilibrio, alla parola crisi che in cinese significa opportunità, mentre l’etimo greco crisis significa separazione. Coniugare le due parole ci aiuta a definire le cose. Per capire meglio una realtà dobbiamo essere capaci di abbattere dei filtri. Per comprendere la complessità è importante rompere degli schemi, abbandonare gli equilibri
Ci può essere utile, sottolineo, una citazione di Holderlin: “Dove esiste ciò che ti uccide, esiste ciò che ti salva”. Indicazione che troviamo presente nell’approccio omeopatico dove si affronta la malattia con gli elementi stessi che la generano. In questo ragionamento possiamo immaginare come una crisi di sistema, tipo quella che stiamo vivendo, possa rivelarsi come un’opportunità.
“Sull’orlo dell’abisso non puoi che volare” afferma Michelangelo Tagliaferri. “La forza di gravità ti porta il culo sempre per terra. Ma sei destinato a strisciare se rimani con il culo per terra. Allora sei costretto a volare. E per volare, per diventare leggero e verticale, devi rompere questo schematismo che ti fa il corpo pesante”.
In questi concetti duali di equilibrio/squilibrio e crisi/opportunità c’è una considerazione che mi sovviene in relazione ad una particolare forma di teatro-danza indiano, il Kathakali, da cui ho tratto un insegnamento emblematico: il performer, giocando sul proprio squilibrio, crea una tensione prodotta dalla modulazione muscolare. Si genera una sorta di segnale “elettrico” che lo spettatore avvertito coglie come un’informazione propriocettiva. Questo sollecita empatia, migliore attenzione: il corpo dello spettatore segue il corpo del performer che si squilibra. Il mondo ci sta rilasciando segnali simili, lo squilibrio ecologico generato dall’abuso delle risorse del pianeta, ci informa che dobbiamo mettere in gioco urgentemente nuove attenzioni.
“Quando si affronta un problema di disfunzione del corpo” ribadisce Anna Legueurlier, “spesso non lo considera nel suo complesso, come un organismo che pensa. Tutto il sistema della società va considerato come un corpo sociale. Tutto l’organismo terrestre non può essere più visto come un serbatoio che ha quella capienza e basta. Ma può essere preso in considerazione con delle modalità tutte diverse. La parola eco deriva dal greco e significa casa. E’ da qui che ci si aggancia ad ecologia, ecosistema, economia e ci rendiamo conto di come in realtà quello che ci interessa è vedere come si costruisce il rapporto tra quello che abbiamo definito con la radice techné, con l’arte e con il luogo dove questo può avvenire. Il corpo è il nostro mezzo, il luogo di esperienza, di percezione. E’ lì che entra in gioco l’ecosistema culturale e il nostro rapporto con l’arte che si costruisce su un’idea di consapevolezza attraverso una forma espressiva sensibile. Avremo così delle ottime opportunità per trasformare questo organismo globale e vivere, sperimentare, crescere in consapevolezza”.
L’artificiale che diventa naturale
Parliamo di trasformazione e penso che sia un concetto cardine, proprio perché dobbiamo stare attenti a non contrapporre la dimensione ecologica con quella tecnologica.
Sfodero, a questo punto, un’altra citazione utile, è di Brecht: “Di nulla sia detto ciò è naturale, di tutto sia detto ciò può cambiare”. Da sempre ciò che è stato artificiale diventa naturale. Viene metabolizzato, a patto che sia sostenibile, da quell’organismo globale a cui abbiamo fatto riferimento.
“Siamo arrivati a un punto talmente basso” ribatte Simone Molteni , “che è decisivo porsi le domande giuste, ma prima di porsi delle domande alte, la domanda prima, molto più interessante è: come facciamo a vivere in modo sostenibile nel pianeta che abitiamo? Sapere che cos’è sostenibile è più importante di sapere che cos’è naturale. Naturale ci porta su esperienze molto soggettive, dove poi ognuno può infilarci ciò che vuole. Mentre per il nostro ecosistema è più importante cos’è sostenibile. Se io sono proprietario di un laghetto dove vivono 50 pesci e io pesco e mangio più di quello di cui ho bisogno, vado a intaccare la massa critica per cui determinerò la morte di quel laghetto”.
Qualsiasi sfruttamento è insostenibile, evidenzio. Dopo due secoli di crescita industriale progressiva siamo arrivati a un punto di non ritorno.
“Siamo testimoni delle trasformazioni” interviene Marco Fratoddi, “capiamo che esiste un limite allo sfruttamento delle risorse. Di questo siamo diventati consapevoli nel vissuto. Io posso ricordare che all’età di mio figlio potevo giocare per strada al centro di Roma, cosa che mio figlio non può compiere. E questo è un dato su cui è importante riflettere per capire che cosa sia davvero innovazione. Forse innovazione è proprio restituire ai bambini la possibilità di giocare per strada. Di tutte queste alterazioni noi siamo testimoni e per la prima volta tocchiamo con mano il limite di queste trasformazioni. Quest’anno si celebra il 40ennale dello studio “Ai limiti della crescita” elaborato dal Club di Roma. Allora vennero fissati i capisaldi della cultura ecologista. Oggi tocchiamo con mano che esiste un limite allo sfruttamento delle risorse e dobbiamo gestire una metamorfosi per ciò che riguarda il livello industriale, ma prima ancora dobbiamo gestire la metamorfosi del modello energetico. E’ questo il vero nodo per ragionare in modo da garantire la nostra sopravvivenza come specie umana insieme alle altre specie che abitano sul pianeta. Dobbiamo andare oltre il sistema energetico che ha dettato la fortuna delle economie occidentali del secolo scorso, per intraprendere un percorso verso un modello nuovo nel quale, insieme ad una nuova equità, si debba ragionare sulle fonti che una volta chiamavamo alternative ma che oggi devono diventare portanti. Il primo fattore è produrre energia da fonti rinnovabili, quindi l’efficienza ovvero la capacità di razionalizzare, ridurre gli sprechi, per gestire in maniera più intelligente le risorse, gli spazi, i nostri beni. E’ la grande opportunità che hanno queste generazioni perché l’ innovazione possa dare senso alla nostra presenza su questo pianeta. Abbiamo compreso quali sono i limiti ed è a partire da questo che va intrapresa una strada per stabilire una nuova consapevolezza culturale”.
Rilancio con uno zoom su ciò che intendiamo per cultura dell’innovazione, perché penso veramente che le opportunità tecnologiche possano essere funzionali all’evoluzione del pensiero ecologico. Non è solo un fattore tecno-scientifico, è decisivo individuare e promuovere dei comportamenti creativi ed impegnati socialmente che rendano tutto questo attuabile ed efficace a tutti i livelli. Penso, ad esempio, all’esperienza dell’open source che dall’etica hacker determina oggi le condizioni per l’open government.
“Eppure c’è scarsità di modelli alternativi” interviene Claudio Prati , “ci sono molte esperienze in campo ma molto confuse. Quando siamo partiti con il progetto TecArtEco volevamo individuare i nuovi modelli di azione creativa associati all’ecologia ma mi rendo conto che il problema è nel veicolare il valore delle tante pratiche esistenti, per cercare di costruire un ambito di orientamento. Tutto evapora, si perde, non si riesce mai a fare comunicare tra di loro le esperienze che portano valore d’innovazione, sia nel contesto tecnologico sia in quello artistico e ovviamente in quello ecologico”.
Visual thinking: la quarta parete degli appunti condivisi
Sì, è questo l’asse del discorso, ribatto. Fare rete, esplicitare quel disegno che si ottiene mettendo insieme i tanti punti sparsi, dalla creatività digitale alle nuove forme dell’auto-organizzazione sociale. E’ il perno su cui far ruotare un lavoro che non può concludersi in questa conversazione. Dobbiamo essere in grado di capitalizzare l’esperienza, l’energia spesa in questo confronto, per espanderla in un forum on line (all’interno del social network di urban experience, raggiungibile con il mobtag qui pubblicato) dove sarà possibile trovare gran parte di questo talk lab (anche le tracce audio e video) che qui è stato sinteticamente ricostruito.
E’ di ecologia della mente che si tratta, per non disperdere il senso prodotto da quel principio di reciprocità che sta alla base delle conversazioni che il web può perpetuare. La buona economia parte da questo tipo di approcci: non sprechiamo, valorizziamo l’energia spesa, a partire da quella mentale, e rigeneriamola, riusiamola in una strategia condivisa. Troppe riunioni, troppo spesso si risolvono in nulla di fatto. Capitalizziamo quello che ci siamo detti. Proprio per questo, il percorso di restituzione sarà funzionale alla realizzazione di un momento finale del progetto TecArtEco che abbiamo definito “performing ecomap”. E’ una mappa concettuale basata su una serie di tag-parole chiave, in buona parte prodotte da questo brainstorming e rilevate anche dall’action writing di Sara in quel particolare lavoro di facilitazione visuale che amiamo definire visual thinking che svolge la funzione di “quarta parete” (come avrebbe detto Bertolt Brecht) degli appunti condivisi e formalizzati.
La performing eco map sarà presentata a maggio come punto terminale del progetto ma di fatto rappresenta la base di partenza per un’attività (impostata sulla messa on line di un archivio open data) che intende far convergere, nella cultura dell’innovazione, un cross over tra tecnologia, performance ed ecologia.
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