Intervista ad Edgar Morin
Edgar Morin
Edgar Morin è tra i più importanti pensatori francesi attuali, e il padre del pensiero della complessità. Bisogna intendere il termine nel suo senso etimologico : “complexus” significa “ciò che è intrecciato insieme” in un groviglio, viluppo di intrecci.
Ne La Méthode, Morin adotta dapprima un punto di vista fisico (La natura della natura, 1977) e tratta i concetti di ordine e disordine, di sistema, di informazione, eccetera. Successivamente, egli affronta il campo della biologia (La vita della vita, 1980), per poi approfondire il tema della conoscenza, anche dal punto di vista collettivo o di società (“l’organizzazione delle idee”), poi al livello della “vita delle idee”, che chiama la nosologia. In particolare tratta delle nozioni filosofiche di linguaggio, di logica e di paradigma, alle quali applica il suo metodo. Secondo Edgar Morin, siamo al preliminare della costituzione di un paradigma di complessità lui stesso necessario alla costituzione di una paradigmatologia: non si tratta di un compito individuale di un pensatore ma dell’opera storica di una convergenza di pensiero. La paradigmatologia, scrive Morin, è “il livello che controlla tutti i discorsi che si fanno sotto la sua influenza e che obbliga i discorsi ad obbedirgli”.
La politica della civiltà, secondo Edgar Morin, “ha come scopo di rimettere l’uomo al centro della politica, in quanto fine e mezzo, e a promuovere il ben vivere al posto del benessere.” L’idea è quella di rimettere l’uomo al centro dell’economia (l’economia deve essere al servizio della vita e non il contrario). Con Terra-Patria, testo di cui è coautore con Anne-Brigitte Kern pubblicato nel 1993, egli chiama ad una “presa di coscienza della comunità del destino terrestre” : “Fu in California, nel 1969-70, che degli amici scienziati dell’università di Berkeley hanno svegliato in me la coscienza ecologica. Tre decenni dopo, dopo il prosciugamento del mare di Aral, l’inquinamento del lago Baikal, le piogge acide, la catastrofe di Chernobyl, la contaminazione delle falde freatiche, il buco dell’ozono e l’uragano Katrina a New Orleans, l’urgenza è più grande che mai.”
In Morin è anzitutto fondamentale la distinzione tra civiltà e cultura. La cultura è definita come l’insieme delle credenze e dei valori caratteristici di una determinata comunità. La civiltà è invece il processo attraverso il quale si trasmettono da una comunità all’altra le tecniche, i saperi, le scienze. Morin sostiene che “la cultura, ormai, non solo è frammentata in parti staccate, ma anche spezzata in due blocchi”: da una parte la cultura umanistica “che affronta la riflessione sui fondamentali problemi umani, stimola la riflessione sul sapere e favorisce l’integrazione personale delle conoscenze”, dall’altra, la cultura scientifica che “separa i campi della conoscenza, suscita straordinarie scoperte, geniali teorie, ma non una riflessione sul destino umano e sul divenire della scienza stessa”. A ciò va aggiunta la sfida sociologica: “l’informazione è una materia prima che la conoscenza deve padroneggiare e integrare”, una conoscenza “costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero”, il quale a sua volta “è oggi più che mai il capitale più prezioso per l’individuo e la società”. L’indebolimento di una percezione globale conduce all’indebolimento del senso della responsabilità, poiché ciascuno tende a essere responsabile solo del proprio compito specializzato, così come all’indebolimento della solidarietà, poiché ciascuno percepisce solo il legame con la propria sfera: “la conoscenza tecnica è riservata agli esperti” e “mentre l’esperto perde la capacità di concepire il globale e il fondamentale, il cittadino perde il diritto alla conoscenza”.